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Intervista a Marco Pace – Giugno 2010

martedì, 4 Gennaio 2011 by

Marco Pace - Visione nel Guggenheim 140x200 oilo su tela - 2009

Parlaci del tuo nuovo ciclo di dipinti.

Nelle opere di quest’ultimo ciclo, a protezione di quel fascino che il “selvaggio” ha sempre avuto sul mondo occidentale; l’incongrua presenza di figure che non siamo abituati a incontrare nelle vicinanze territoriali, nel contesto di architetture moderne; posti in compresenza ambientale, dovrebbe creare uno sfalzamento per lo meno di ordine visivo. Così la categoria dell’altro si stempera. Tutto è terreno di caccia: appaiono maschere di sacerdoti iniziati a riti primordiali, animali che si assalgono, com’è la loro legge. Il territorio manca di normalità, si spezza quella normale condizione di sicurezza che ci si aspetta. Non fa paura l’immersione nella natura selvaggia, fa paura il non riuscire a sopravvivere a qualcosa che non conosciamo. In questa condizione lo spettatore si trova spiazzato e l’immagine diventa di natura surreale, e a me piace.

“E’ troppo facile scrivere poesie quando si sta male” hai dichiarato in una delle tue ultime interviste, quando scatta in te la scintilla creativa?

La scintilla creativa in me non scatta, perché ho in me acceso il fuoco creativo che si alimenta con le immagini che mi rievocano una scena che a me ha lasciato una profonda impressione. Il mio lavoro è ritrovare quelle immagini, ormai perse perché passate, per poi dipingerle, in maniera da richiamare quella scena che in precedenza mi aveva impressionato, in modo più chiaro possibile.

Tra i tanti artisti maledetti ed incazzati hai dichiarato di amare Francis Bacon, un’artista che esprime nelle sue opere il dolore, il delirio della carne ma anche e, soprattutto, la sofferenza esistenziale. Attraverso urli devastanti e corpi lacerati. Dove trovi nei tuoi lavori questa estetica della devastazione?

Nei miei quadri questa estetica della devastazione é di natura spazio temporale. Se dipingo una figura in un luogo in cui essa non abita ho distrutto qualcosa: la nostra percezione della realtà e questo mi interessa in maniera inconscia.

Hai appena concluso un’importante viaggio a New York. Una città che ti ha riempito di soddisfazioni, ma soprattutto ti ha trasmesso il senso  della libertà di espressione. In Italia questa libertà secondo te è soppressa, si dovrebbe dare più importanza all’individualità di un’artista?

Non solo in America, anche in molti paesi nord europei. Lo Stato si interessa ai giovani artisti: ci sono molti concorsi, borse di studio ecc. promossi dallo stato. Ho conosciuto giovani artisti inglesi che prendono uno stipendio, o che hanno pubblicato un catalogo con i soldi statali. Il problema è: è giusto che un’artista giovane viva già del suo lavoro a vent’anni? Non ha bisogno di farsi le ossa sul campo? Non che l’arte abbia bisogno di malessere, ma sicuramente non ha bisogno di gente che a vent’anni si crede arrivata.

Marco Pace - la città è salita -olio su tela 100x100 - 1998

Passiamo ad un tuo progetto che mi interessa particolarmente “La Città è Salita”. Penso a Boccioni e alla “La città che sale”, la sua Milano è una proto metropoli, depositaria delle emozioni dell’uomo moderno, perso nella dinamicità del caos metropolitano.

Addirittura mi viene da pensare all’opera “Stati d’animo” e ai cavalletti che Boccioni metteva nella stazione di Milano dipingendo le persone che vanno e vengono, come se la location metropolitana fosse una sorta di palcoscenico esistenziale. Nella tua opera, “La Città è salita”, parti dai presupposti di Boccioni ma tutto si sviluppa in chiave apocalittica. Parlaci di questo prodigioso progetto.

Quando studiai i quadri di Boccioni ne rimasi molto impressionato. “ La Città che sale” è come un tatuaggio che porto dentro. I colori, la tecnica, e il significato di quel dipinto mi portarono almeno a 5 anni di lavoro sulla mia pittura. Quel dipinto fondamentalmente m’inquietava e di solito mi portava a pensare: se “La città che sale” rappresenta, così di primo impatto, la voglia che ha la città stessa di crescere e di svilupparsi in maniera colossale, ed è stato dipinto agli inizi del ‘900, ormai, nel 2000 la Città è Salita… così immaginai un enorme Dio artificiale che si auto creava, non aveva più bisogno dell’uomo per costruirsi ma aveva una vita propria e iniziava a conquistare tutti gli spazi naturali. Così dipinsi quel quadro, e un’altra cinquantina di quadri sullo stesso tema. Tutta quella serie la dipinsi senza il supporto di foto quindi senza alcun riferimento ad immagini reali. Oggi tutti i miei quadri hanno bisogno di foto infatti la prima parte del mio lavoro, oggi, è la fotografia. Per poter dipingere la realtà ho fatto molti quadri en plein air dopo il 2000.

Ultima domanda, quale artista richiameresti in vita?

Richiamerei in vita, naturalmente con un rito voodoo, gli artisti morti giovani che più apprezzo cioè, per citarne due, Keith Haring e Andrea Pazienza.

Intervista a cura di Daniela Nativio.

Marco Pace - la città è salita 2 - olio su tela 130 x 80 - 2002

Marco Pace - monkey suicide II - 65x80 drawing -2010

Intervista a Francesco Strino de “I dischi del Minollo”

mercoledì, 3 Marzo 2010 by

I Dischi del Minollo

Legenda domande: Blu 66034 / Verde Francesco Strino / Arancio Daniela Nativio

Intervista a Francesco Strino

de “I dischi del Minollo”.

Identikit:

Nome Francesco Strino

Anno di nascita: 1969

Attività: titolare della etichetta discografica indipendente “I dischi del Minollo”.

Strumento preferito: tromba.

Artista preferito: Ian Curtis.

In un caffè di Lanciano, di fronte ad un cioccolato caldo al rum, incontro Francesco Strino titolare della etichetta discografica indipendente “I dischi del Minollo” di Lanciano e Daniela Nativio, responsabile dei rapporti con i media e della promozione.

L’accento tradisce origini partenopee infatti Francesco viene da Napoli anche se per lavoro se ne è allontanato da molti anni ormai.

Ciao Francesco e benvenuto su www.66034.it. Per cominciare l’intervista vuoi parlarci del tuo background musicale?

Musicalmente nasco negli anni 80 con la New Wave.

Ian Curtis?

In effetti, se mi avessi chiesto un nome ti avrei fatto proprio quello di Ian Curtis. Preferisco parlare di NW più che di Dark perché ci si riferisce ad un panorama musicale più ampio

Proprio per i Joy Division spesso si fa l’errore di parlare di musica dark che invece per certi aspetti è più appropriata parlando dei Cure e di gruppi che facevano anche dell’immagine una componente importante, invece i JD si vestivano come il classico vicino di casa in maniera assolutamente normale, però vivevano un profondo disagio interiore che purtroppo ha portato il loro leader a fare quella scelta estrema che tutti conosciamo.

Sicuramente le loro sonorità “intimiste” sono stati un ascolto fondamentale nella mia formazione musicale

Mi viene subito da pensare a “The Marigold” (una delle produzioni più importanti de “I dischi del minollo”) che in qualche modo hanno oggi qualcosa di quel modo di fare musica rispetto al primo lavoro “Divisional” o ad “Erotomania”.

Si in effetti c’è qualcosa .. guarda caso.

Mentre in Italia in quel periodo ?

Dei gruppi italiani ascoltavo i primi Litfiba.

Dietro al produttore si cela anche un musicista come spesso avviene?

No, purtroppo il mio approccio allo studio della musica da ragazzo è stato impostato in modo troppo accademico e questo, come spesso accade, non ha fatto altro che allontanarmi dallo strumento.

In effetti questo è sempre stato un problema diffuso in Italia anche se negli ultimi anni gli insegnanti sembrano, in genere, aver capito che all’inizio è meglio impostare il discorso con l’allievo in modo diverso e “meno serio”.

Si comunque sono sempre stato in qualche modo impegnato nel mondo della musica, in radio, nell’organizzazione di concerti ecc. fino all’idea dell’etichetta discografica che ho tenuto per anni nascosta dentro di me e che, anche grazie all’incontro di Marco dei Marigold, sono riuscito a realizzare.

Come mai il il nome “I Dischi del Minollo” ?

Il Minollo è quell’animale immaginario inventato da Massimo Troisi nel famoso sketch con Lello Arena, dal titolo “La fine del mondo”. Massimo cercava di ingannare Noè (Lello Arena) fingendo di essere un animale dal nome Minollo per farsi salvare dal diluvio universale visto che tutti gli animali erano già stati messi in salvo.

Fantastico.. ricordo che fra l’altro Troisi lo chiamava Mosè facendolo incazzare da morire (ridiamo).

Quindi un omaggio alla mia napoletanità.

Deduco che il rapporto con Marco va oltre quello artistico.

Si perchè quando io mi sono trasferito per lavoro da Bari a Lanciano avevo iniziato a fare  distribuzione tramite mail order e, grazie ad internet lui ha scoperto che a Lanciano, notoriamente poco incline a certe sonorità musicali che non siano la musica classica, il jazz/blues, esisteva invece qualcuno che promuoveva musica “alternativa”. Ci siamo conosciuti e all’inizio sono stato il loro live manager.

Anche lui aveva questa idea dell’etichetta e così siamo partiti insieme: Dischi del Minollo per quanto mi riguarda e Deambula records per quanto riguarda Marco. Si tratta di due realtà distinte che per certi aspetti viaggiano su strade parallele che a volte si incrociano quando capita di coprodurre nomi più importanti come nel caso dei Magpie che richiedono maggiori “investimenti”.

Quando ricevi un demo cd da parte di un gruppo che vuole essere prodotto, cosa fa scattare in te la scintilla, cioè cosa ti fa decidere di produrre un gruppo musicale? Sicuramente riceverai tante proposte.

Tantissime di cui molte vengono scartate a priori perchè, pur non essendo la mia un’etichetta di genere, si capisce sentendo le nostre produzioni quale possa essere la scelta artistica, mentre spesso ricevo demo che propongono cose diverse.

Fatta questa prima scrematura …

C’è una valutazione della vendibilità di un progetto?

Purtroppo no (ridiamo). La scelta è fatta in base ai miei gusti a prescindere dalla vendibilità. Anzi ci sono stati dei veri e propri casi di suicidi commerciali nelle mie produzioni (ridiamo ancora) ma il discorso è che io non vivendo di questo posso, entro certi limiti, permettermelo, anzi è proprio questo il bello, se un gruppo in qualche modo non mi rappresenta non scelgo di produrlo solo perché magari mi darebbe più visibilità.

effetti collaterali

Mi spieghi in che consiste esattamente il tuo lavoro?

Dipende. Se hai la possibilità di contrattualizzare un artista di spessore c’è un investimento maggiore che comunque non riguarda la realizzazione del cd. L’artista viene da me già con il master definitivo e la mia attività riguarda la scelta grafica, la realizzazione del cd, promozione, anche con l’aiuto di Daniela, poi c’è l’attività di promozione live quindi l’attività di booking dei gruppi che produco.

Quale considerazione c’è in Italia per i gruppi e per la musica dal vivo?

In Italia non c’è, da parte dei gestori di clubs, locali o eventi live una grande considerazione per l’artista. Mi è capitato più volte di organizzare tours all’estero per i miei gruppi e ho potuto constatare che anche in paesi come Lituania o la Slovenia c’è una particolare attenzione per l’accoglienza dell’artista che invece in Italia è trattato come una sorta di appestato ed a volte anche riuscire a spuntare un vitto e alloggio dignitoso è una grande impresa. E’ come se l’artista non fosse una persona normale.

Forse è meglio che stendiamo un velo pietoso su Lanciano perché…

No no, io direi di parlarne anche perché la domanda l’avevo riservata per il finale quindi è meglio togliersi subito il sasso dalla scarpa.

Bene diciamo che in Abruzzo, ad esclusione di Pescara, e salvo rare eccezioni, non è possibile proporre musica “alternativa” di qualità.

Per quanto riguarda Pescara credo che la presenza dell’università cioè anche di un particolare bacino di utenza favorisca la cosa …

Non direi che dipende solo da questo visto che anche a L’Aquila c’è l’università ma,  terremoto a parte, non c’è mai stata un’offerta musicale..

Si ma voglio dire che a Lanciano in effetti non c’è un’utenza anche se spero di essere prontamente smentito  da centinaia di mails di lancianesi che vorranno contattarmi.

A Pescara alcune realtà sono gestite solo da determinate agenzie quindi anche li è difficile entrare.

Poi c’è anche da dire che la politica culturale lancianese è indirizzata ad una fascia di età molto alta, diciamo over ’70 e questo riguarda ogni tipo di iniziativa. Secondo me non esistono iniziative per i giovani che possano chiamarsi cultura cioè si confonde l’intrattenimento con la cultura, anche alle feste di settembre, diciamo che l’incapacità  riguarda sia l’ignoranza della materia e sia il fatto di non essere in grado di capire l’importanza del discorso cioè l’impatto potenziale sulle coscienze.

Quando sono arrivato a Lanciano l’ho trovata davvero una bella cittadina, un comune grande, che anche come turismo, ha grosse capacità rispetto a comuni che con molto meno fanno molto di più. Forse chi ci governa non ha avuto modo di fare grosse esperienze di realtà analoghe e quindi non ha i mezzi per fare una valutazione e capire che Lanciano ha le potenzialità per proporre qualcosa che si possa chiamare cultura.

Ad esempio a Conversano, centro in provincia di Bari, si svolge in estate un festival di musica popolare in cui vengono ospitati artisti italiani che non si limitano a riproporre in modo sterile i brani famosi della musica popolare ma bensì portano avanti un discorso di ricerca delle sonorità e dei temi tipici della musica popolare cercando di innovare e contaminare tirando fuori dei risultati assolutamente interessanti grazie a pazienti ricerche etnomusicologiche. Questo tipo di spettacolo accontenta sia l’anziano sia il giovane o l’addetto ai lavori. Probabilmente se questo si facesse a Lanciano avrebbe invece lo stile di un festival di musica folkloristica in cui l’importante sarebbe il costume dei musicisti e il fatto che abbiano la du botte in mano.

Comunque volevo lanciare un’idea su 66034. Visto che politici e gestori latitano propongo gli House concerts. Si tratta di una realtà ormai collaudata in America (manco a dirlo) e che da qualche anno, anche in Italia sta cominciando a prendere piede. In sintesi la filosofia è : “Voi non ci date la musica e i concerti che vogliamo? Allora noi ce li organizziamo da soli”. Si tratta di piccoli concerti fatti presso case di privati con set acustici di solito o comunque con situazioni non troppo difficili da gestire tecnicamente.

the Marigold

La cosa mi sembra molto interessante quindi propongo di dedicare agli House concerts un articolo a parte su 66034. Andiamo avanti con l’intervista. Daniela vuoi parlarmi del tuo lavoro? In generale il rapporto con i media e con l’establishment musicale è difficile?

Diciamo che ci sono emittenti che si occupano di musica alternativa e li non è molto difficile proporsi se produci musica di qualità, mentre per le emittenti più grandi il discorso si fa più complicato.

Sono prevenute verso produzioni alternative?

Non è un fatto di essere prevenuti, il problema è sempre lo stesso, il tempo a disposizione. Per farti un esempio nel 1992 io ero alle prime esperienze come produttore, erano i tempi in cui cominciava a uscire il CD piuttosto che l’LP o la cassetta ebbene i gruppi che si presentavano ad una radio o un’agenzia con un LP o un CD avevano la strada spianata rispetto a chi si presentava con la cassetta. Era la certezza che dietro c’era una certa produzione e competenza.

Nel 2001, quando ho iniziato l’attività di booking, il fatto che il gruppo fosse presentato al locale da un’agenzia, dava una certa immagine e credibilità e quindi certe garanzia al gestore.

Oggi invece tutti possono prodursi un cd e tutti si propongono tramite social networks.

I locali o i media ricevono così una marea di proposte  quindi se non c’è dall’altro lato la volontà e il tempo di approfondire certi dettagli ecco che artisti di spessore come Unòrsominòre (altra produzione interessantissima de “I dischi del Minollo”) da quindici anni sulla breccia, vengono considerati allo stesso livello di un qualsiasi gruppo emergente. E’diventata una giungla dove per emergere oltre che al talento, alla volontà e all’impegno c’è veramente bisogno di molto culo…

…e qualche conoscenza non guasta. In effetti anche l’esperienza del MEI (Meeting delle etichette indipendenti) per quanto utile se non altro per allacciare conoscenze e contatti ci ha dato la conferma che è un mondo difficile in cui solo perché ti proponi spesso ricevi delle controrichieste a volte anche valutabili ma a volte veramente inaccettabili.

Magpie

Francesco, cosa fa scattare in te l’interesse a produrre un gruppo?

Dipende, nel caso dei Malazeta, la mia prossima produzione, mi piacciono i temi che affrontano. Parlano della manipolazione della comunicazione e dei media, quindi nel loro caso è stata una condivisione dei temi trattati.

Ma è quello che mi trasmette l’ascolto in generale che è importante, i brividi, la capacità di  scatenare certe sensazioni.

Consigli per i gruppi emergenti?

Lasciate ogni speranza voi che entrate (ridiamo), voglio dire che è in mondo difficilissimo quindi è bene trovarsi comunque qualcosa di cui campare e poi coltivare la propria passione musicale e proporsi ma è praticamente impossibile riuscire a campare di questo o peggio sperare di trovare stabilità futura.

Unòrsominòre

Progetti per il 2010?

Dopo le belle soddisfazioni di produrre gruppi del calibro di Magpie, The Marigold e Unòrsominòre torno all’attività di scouting e per ora di sicuro partirò a settembre con la produzione dei Malazeta, poi vedremo anzi colgo l’occasione per invitare anche i gruppi di Lanciano e dintorni ad inviarmi il loro materiale .. chi sa magari può nascere qualcosa.

Per info: www.myspace.com/minollorecords

Un saluto a tutti  dal Bue .. Ciao

Greenhouse Effect

Coming next: visti del vivo, concerto del 17 febbraio dei bostoniani Glorytellers al Mono di Pescara … una piccola delusione