Luca Di Francescantonio – blog semipersonale
sabato, 1 Novembre 2008 by Luca Di FrancescantonioE così ci siamo seduti. Credo di averlo guardato per un bel po’, quel bambino. Non so bene cosa volesse. Non aveva domande da pormi, di solito i bambini sono molto curiosi, sappiamo come ci inondano di domande. O di richieste fantastiche. A cui spesso non sai rispondere o non sai accontentare. Eppure ci siamo seduti. Eravamo un padre e un figlio, ma senza saperlo. Due sconosciuti molto intimi che non avevano bisogno di parole, non avevano bisogno di litigi. Non come alcuni padri, non come alcuni figli. E se mi giravo attorno, oltre quella panchina, non eravamo nemmeno come quelle madri con le loro figlie o figli. Non lo avrei fatto vestire da Gucci, e non gli avrei vietato di leggere i fumetti (leggere… diciamo guardarli, quei bambini non sapevano ancora leggere…). No, non mi sembra di essere quel tipo di madre. Anche perché sarei padre. Ma non lo sono.Eppure ci siamo seduti. Io e lui, su quella panchina.
Mi guardava con il nasino all’insù, un gelato in mano, dallo sguardo da commendatore. Da imprenditore
noroxin
dell’edile. Da meccanico di officina di fiducia. Da magnate siderurgico.Ma con una macchia di cioccolato sul giubbino.Ma con degli occhi castani profondi e pieni e puliti.Una volta lo sognai. Una volta era anni e anni fa. Lo sognai e mi destai, anzi mi svegliai di colpo. Quegli occhi erano i miei. Avevo sognato mio figlio, ma non ancora lo avevo concepito. Era mio figlio e mi guardava.Come lui, di nuovo, dal vivo, seduto sulla panchina
della Villa Comunale.Seduti, io e lui. Lui senza dire una parola si stropicciava la macchia di cioccolato senza perdermi di vista, con quello sguardo da controllore del tram. Da ingegnere della sicurezza dei cantieri. Da maresciallo dei carabinieri già in pensione.“Non hai una mamma?”Nessuna risposta.“Un papà?”Nessuna risposta.“Comunque non mi sembri perso. Ma se ti serve una mano, io sono qui. Come ti chiami?”Nessuna risposta, solo una sana leccata al cioccolato.
Alè.“Almeno tu non sei perso. E poi sei giovane. Potresti essere mio figlio. Per quello che te ne frega. Forse sto sognando ancora, vero? Sei un sogno?”Nessuna risposta, ma un’altra leccata si.“Ok, sei proprio loquace. Quasi quanto me. Non sai che rogna a volte essere così creativi fuori ma non riuscire a trovare parole per la propria vita privata.
Curo l’immagine degli altri, ma non so curare la mia. Mi chiedo perché. Non parlo, a volte, perché mi sembra già tutto ovvio. Già tutto sintetizzato. Non mi piace ribadire le ovvietà. Credo sia la stessa cosa anche per te?” No, nessuna risposta. Il commendatore senatore controllore non accennava ad un minimo che. Solo quegli occhi castani. E una gran faccia di culo. Avrei detto quasi che fosse mio figlio.Ma non lo era. Mi girai attorno e ammetto che mi preoccupai, ma non vedevo madri o padri di sorta. Ed era una certa ora, doveva essere riportato a casa per cena, supposi.“Proprio non sai dove sono i tuoi? Dovresti tornare a casa. Prima o poi si torna a casa, non lo sai? Non la fare facile solo perché sei giovane, non tutto il mondo è ai tuoi piedi e non è detto che il mondo voglia farsi mettere i piedi addosso da te. Quindi, alcune volte, torna a casa.”Si fermò, sembrò essere interdetto. Aggrottò le sopracciglia.“Stupito? Non ti fanno le ramanzine a casa?”Si alzò dalla panchina. Buttò la carta del gelato, si diede una pulita alla buona. Mi fissò per due secondi, due. E poi corse. Via da me.Due figure da lontano lo abbracciarono.Per me, si era fatto tardi.
17 Dicembre 2008 alle 01:07
I nostri desideri che si incastrano al confine con la realtà, fino ad esserla davvero, a tramutarcisi dinanzi nelle strade mentre spesso camminiamo furiosi per la multa fatta all’auto che abbiamo parcheggiato in doppia fila perchè avevamo fretta di andare a lavoro ed eravamo incazzati neri alla giuda urlando e strepitando contro il vecchietto con helzaimer che era sbucato km fa proprio prima che passassimo noi…NOI, NOI sempre presi dall’ incalzare del tempo sociale, delle scadenze, degli orari, persi nelle cartacce, negli affari da sbrigare…
TEMPO…cos’è il tempo?…IL TEMPO NON ESISTE diceva Heidegger, l ha creato l’uomo! E’ così che ci siamo rovinati…ma quando smettiamo di contare i secondi, i minuti, le ore…e ci fermiamo per ascoltare il silenzio rumoroso dei nostri pensieri, c è un posto etereo che è la nostra anima, non ha tempo, non ha spazio, non ha definizione…ed è li, proprio li…quando ci fermiamo che riusciamo a vedere il desiderio di una vita diversa o i desideri della vita che si trasformano nella realtà che sfugge ai nostri occhi…troppo spesso! NON SIAMO DEGLI ENTI; MA UOMINI!
perdonami ciò che hai scritto è meraviglioso e mi ha ispirato questo commento, la scrittura non è univoca, io ci ritrovo qualcosa forse di diverso dal perchè reale del tuo scrivere, e questo è bellissimo!..Come poche parola possano avere significati diveri se uniti mentalmente a diversi contesti…perchè il pensiero è differenziatamente universale! 🙂