Casa Cavacini – il giardino segreto – l’artista che vive senza tecnologia – la scuola come tema ricorrente
domenica, 30 Novembre 2008 by Norina Tulipani“Cavacini… uhm, quanti ricordi mi scatena questo cognome e che battaglia per averla vinta. Facevo le medie alla Mazzini. Grande folla per entrare nella piccola ma avida bocca dell’istituto. E tra una gomitata e l’altra, di proposito o meno, erano già due volte che mi rompevano la lunga riga di circa un metro per l’ora di educazione tecnica. In borsa non ci stava nemmeno tutta, ma questa era una questione di principio: mi ero ripromessa che alla terza riga spezzata sarei andata dal preside col responsabile e così fu una mattina di tanti anni fa, nella quale ottenni giustizia nei confronti di un ragazzo che da allora divenne un buon amico…”.
Ora, dopo tanti anni, mi ritrovo davanti una villa bellissima e un nome in testa, quando all’improvviso si spalanca il portone e un simpatico ragazzo-ricco-di-risorse ci invita ad entrare: il giardino pieno di rampicanti e la doppia scala incorniciano un mondo tutto da scoprire e noi otto sconosciuti-assetati sembriamo tanti scolaretti impazienti di invadere il mondo altrui.
Prima di cominciare la visita a quello che consideriamo una casa-museo di Castel Frentano, un occhio va al giardino che mi riporta alla mente, con tutti i suoi labirinti, il primo libro che ebbi in dono dalla mia maestra alla fine della I elementare: “Il giardino segreto” per l’appunto. E tale rimarrà per un altro paio d’ore almeno!
Dopo pochi passi nel’ingresso, l’abitato svela un grande portale che accede direttamente alla chiesa di famiglia. Una struttura piccina che nell’ottocento accoglieva anche i pochi vicini per le funzioni religiose. L’ultima messa è stata celebrata due -tre anni fa e non si tratta di luogo sconsacrato. Le volte sono piene di affreschi e le pareti parlano latino – deiparae dolenti, contritio tua, magna est velut mari (non vedo l’ora di tornare a casa per consultare IL, vocabolario di latino, scuola mai scordar ti posso).
Marco, il nostro accompagnatore, ci spiega che la chiesa è sorta prima del resto della casa assieme alla sala, ai sotterranei e al primo piano. La sua costruzione si deve ad un antenato, Vincenzo Cavacini, che fece iniziare i lavori nel 1860 portandoli a termine sedici anni dopo. Allora, gli avi della famiglia Cavacini vivevano nella parte più alta del paese, ma nel 1881 una frana causata da dissesti idrogeologici fece crollare parte del palazzo costringendoli a trasferirsi nella villa in cui camminiamo ora e costruendo un po’ alla volta i numerosi vani che la costituiscono.
Completano le pareti alcuni dipinti di autori appartenuti alla Scuola di Guardiagrele come Ferdinando Palmerio che realizzò “Le tre marie” nel 1875, l’anno in cui la chiesa fu completata, quindi probabilmente un’opera celebrativa. Poco tempo fa queste opere a struttura piramidale e dal sapore orientaleggiante, furono scoperte dalla Soprintendenza. Dal confessionale a sinistra dell’altare si entra nella sagrestia piena di reliquie portate alla luce dopo la recente ristrutturazione avvenuta negli anni ’70.
Ogni casa che abbia almeno mezzo secolo alle spalle, porta con sé un po’ di mistero. In questa occasione gli anni sono ben 150 e la cosa strana è che non ci sono progetti, informazioni e carte dell’abitazione, anche se sono conservate foto e reliquie di inizio secolo scorso e addirittura dell’ottocento. Della piccionaia che sovrasta la casa, per esempio, si sa che sorse quando il palazzo subì un ampliamento. La cripta che sta sotto la chiesa presenta una tomba, scoperta per caso durante alcuni lavori di rifacimento del mattonato.
Il palazzo fu sede, durante la seconda guerra mondiale, prima di un distaccamento di soldati tedeschi, poi di un comando dell’artiglieria inglese ed ospitò circa 60 sfollati che, in seguito, avrebbero trovato rifugio al feltrino.
Capitolo: “Ma come era qui intorno tanto tempo fa?”
C’erano una volta, poche case intorno e un fitto bosco di querce: questo 400 anni fa. Tanto tempo fa quindi. Fine
Lo stemma di famiglia contiene un leone e un’aquila, motivo ricorrente anche in Chiesa seppur leggermente differente e nel vano adibito alla ricezione della posta (cassetta delle lettere).
Da un cassetto Marco ha tirato fuori un vecchio album contenente una foto di famiglia del 1870. Anche le quattro pareti della sala sono ricche di spunti fotografici e di dipinti, poiché il nostro amico cicerone e curioso-di-tutto- che-vive-senza-cellulare-né-computer, è anche un artista noto col nome di Cavax.
In Abruzzo la fotografia è arrivata nel 1850, e la foto, che ritrae alcuni contadini davanti casa impegnata nella vendemmia rende subito l’idea della vita dell’epoca: a Castel Frentano nel 1795 si contavano circa 400 abitanti, tra cui le famiglie Crognale e Cavacini, che si unirono più volte nel corso del tempo.
Marco ci mostra come se fosse un oggetto di tutti i giorni, un vecchio dagherrotipo su lamina di rame del 1850 circa; di qualche anno successivi i dagherròtipi su vetro, discendente di quello in vetro di una decina d’anni prima, ma la cosa che ci lascia più incantati è la storia de “I pesci moreschi”. Si tratta di un manoscritto che raccoglie il carteggio tra uno studioso di scienze, tale Talli e l’antenato Crognale. Si deve risalire al 1845 tenendo bene a mente il fiume Moro, protagonista, assieme ai pesci, di questa stramba storia. In sintesi, Crognale fece credere a quello che all’epoca era ancora un suo amico, che nel fiume citato si fosse scoperto un nuovo tipo di pesci, quelli moreschi appunto; la burla andò avanti per molto tempo, e oggi, oltre ad una sana risata, ci permette di desumere informazioni utili. Innanzitutto sul linguaggio utilizzato all’epoca, o sul fatto che la posta impiegasse allora 4 giorni lavorativi per spedire una lettera dall’Abruzzo a Napoli, meglio dei giorni nostri a quanto sembra.
Dopo la visita ai sotterranei, durante la quale scopriamo che c’è una lunga e strettissima scala a chiocciola che porta fin su al terrazzo, è il momento di andare alla scoperta del giardino, col favore dell’ultima luce del giorno.
Qui, oltre ad un vasto assortimento di piante storiche quasi estinte altrove, che pare abbiano trovato un ottimo compromesso tra umidità e luce solare, troviamo il rudere di una dependance all’epoca adibita a scuderia. Non ci sono molte parole per descrivere 5000 metri quadri di giardino incontaminato che tra un anfratto e l’altro nasconde fontane, reperti storici e piante nipponiche, e allora approfittiamo di questa passeggiata finale per ringraziare la famiglia Cavacini di averci accolto in casa loro e fatto vivere una stimolante domenica pomeriggio di inizio autunno.
foto di Giulio Oliva
Tag: artista, casa, casa cavacini, case, giardino segreto, scuola, senza tecnologia
24 Novembre 2010 alle 19:59
sono mai stati fatti degli scavi al lato posteriore della villa?passo ogni giorno con il mio cane e rimango ogni volta estasiato dalle emozioni che mi suscitano la villa.
15 Dicembre 2010 alle 17:37
non ho la minima idea, ma se vuoi possiamo creare un contatto con il gentile proprietario.
11 Maggio 2011 alle 12:13
Sono originario da parte di padre di Castel Frentano, mi piacedrebbe avere informazioni più dettagliate sullo stemma di famiglia.
La cosa che mi ha colpito molto è il fatto che anche il mio sopranome è: CAVAX.