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Abruzzo Comics

lunedì, 18 Aprile 2011 by

Dimas, Ulderico Fioretti e Fabrizio Pluc, durante un aperitivo, mi hanno parlato della loro “rabbia”.

Tavola by Dimas

Abruzzo Comics di Daniela Nativio

 

Se il mio quinto senso e mezzo non mi inganna, come direbbe il celebre indagatore dell’incubo Dylan Dog, i 5 autori de “La Raje” Aurora Canfora,  Simone Zaccagnini, Dimas (Alessandro di Massimo) curatore del progetto, Ulderico Fioretti e Fabrizio Pluc Di Nicola hanno tutti i numeri per dare un nuovo volto al fumetto underground abruzzese.

1 Come nasce il progetto Abruzzo Comics?

Dimas: il nostro è un progetto indipendente, nel senso che nasce dall’esigenza di distaccarci dall’editoria main stream tesa a imporre le proprie regole, noi volevamo un fumetto fatto direttamente dagli autori, senza alterazioni e imposizioni altrui. Ma soprattutto l’idea è di creare un movimento, una sigla sotto la  quale ritrovarci, da qui l’idea di un’etichetta che prende il nome di Abruzzo Comics, all’interno della quale poter fare eventi, oltre che pubblicare il magazine “La Raje”.

2 Perché un titolo così forte: “La Raje”?

Dimas: Il nome della rivista è un omaggio ad un rapper pescarese Lou X e al suo pezzo dal titolo La Raje, inoltre c’era l’idea di riproporre una certa cultura del fumetto e confezionato esclusivamente dagli autori,  come in altre parti d’Italia, con una forte identità geografica, non a caso il titolo è in dialetto abruzzese.

Sicuramente è un progetto che nasce dalla voglia di proporre modelli di cultura underground che in Italia hanno già preso piede, basti pensare alla scena bolognese e romana.

Il mio auspicio e di creare un polo del fumetto indipendente anche in Abruzzo.

Fabrizio Pluc Di Nicola: per dare un messaggio forte e chiaro al resto dell’editoria italiana: l’Abruzzo c’è! (ride).

 

3 Da chi è stata prodotta “La Raje” ?

Dimas: Il primo numero de La Raje è stato prodotto dell’associazione culturale – no profit LND (La Nuova Direzione) di Cellino Attanasio, un contributo davvero importante per il nostro progetto.

4 Chi sono gli autori della rivista “La Raje” ?

 

Dimas: Attualmente gli autori di questa prima edizione sono cinque, con il desiderio di aprirci ad altre personalità artistiche.

Nel primo numero siamo il sottoscritto, Ulderico Fioretti di Giulianova , Fabrizio Pluc Di Nicola e Simone Zaccagnini di Pescara e Aurora Canfora di Teramo.

 

5 La “Raje” nasce sotto il segno della “Mostra dei Mostri”, festival dedicato al mondo horror, che si tiene a Cellino Attanasio. La matrice horror del primo numero è solo dettata da questa concomitanza tematica oppure siete sensibili a questo genere?

Dimas: Sicuramente siamo molto vicini all’horror, infatti la maggior parte dei miei lavori sono splatter, invece gli altri hanno un taglio più vicino al noir, ad esempio Ulderico F.  oppure al trash movie come Fabrizio Pluc, sicuramente l’horror è per noi un motore di ricerca per esprimere la nostra rabbia. Una “rabbia” che acquista una valenza positiva se intesa come esigenza, quasi fisiologica, di creare e fare controcultura attraverso il fumetto.

Vignetta di Di Nicola

6 Il nome di una città abruzzese che risponde alle esigenze di una cultura underground.

 

Dimas: Cellino Attanasio (ride). In realtà vi sono autori molto più alternativi di ciò che si pensa.

Scherzi a parte, lì non ci sono feedback perché è un piccolo paese, ma è un buon esempio di come muoversi in favore di una cultura giovanile.

Naturalmente Teramo e Pescara rimangono sempre i capisaldi di una certa cultura underground qui in Abruzzo.

7 Quali sono i progetti futuri di Abruzzo Comics?

Dimas: il numero 1 de “LaRaje”. L’edizione pilota è andata molto bene, ottime recensioni e numerose presenze in eventi relativi al fumetto.

Per info :  http://www.myspace.com/abruzzocomics

Tavola by Ulderico Fioretti

Settembre 2010

Intervista a Marco Pace – Giugno 2010

martedì, 4 Gennaio 2011 by

Marco Pace - Visione nel Guggenheim 140x200 oilo su tela - 2009

Parlaci del tuo nuovo ciclo di dipinti.

Nelle opere di quest’ultimo ciclo, a protezione di quel fascino che il “selvaggio” ha sempre avuto sul mondo occidentale; l’incongrua presenza di figure che non siamo abituati a incontrare nelle vicinanze territoriali, nel contesto di architetture moderne; posti in compresenza ambientale, dovrebbe creare uno sfalzamento per lo meno di ordine visivo. Così la categoria dell’altro si stempera. Tutto è terreno di caccia: appaiono maschere di sacerdoti iniziati a riti primordiali, animali che si assalgono, com’è la loro legge. Il territorio manca di normalità, si spezza quella normale condizione di sicurezza che ci si aspetta. Non fa paura l’immersione nella natura selvaggia, fa paura il non riuscire a sopravvivere a qualcosa che non conosciamo. In questa condizione lo spettatore si trova spiazzato e l’immagine diventa di natura surreale, e a me piace.

“E’ troppo facile scrivere poesie quando si sta male” hai dichiarato in una delle tue ultime interviste, quando scatta in te la scintilla creativa?

La scintilla creativa in me non scatta, perché ho in me acceso il fuoco creativo che si alimenta con le immagini che mi rievocano una scena che a me ha lasciato una profonda impressione. Il mio lavoro è ritrovare quelle immagini, ormai perse perché passate, per poi dipingerle, in maniera da richiamare quella scena che in precedenza mi aveva impressionato, in modo più chiaro possibile.

Tra i tanti artisti maledetti ed incazzati hai dichiarato di amare Francis Bacon, un’artista che esprime nelle sue opere il dolore, il delirio della carne ma anche e, soprattutto, la sofferenza esistenziale. Attraverso urli devastanti e corpi lacerati. Dove trovi nei tuoi lavori questa estetica della devastazione?

Nei miei quadri questa estetica della devastazione é di natura spazio temporale. Se dipingo una figura in un luogo in cui essa non abita ho distrutto qualcosa: la nostra percezione della realtà e questo mi interessa in maniera inconscia.

Hai appena concluso un’importante viaggio a New York. Una città che ti ha riempito di soddisfazioni, ma soprattutto ti ha trasmesso il senso  della libertà di espressione. In Italia questa libertà secondo te è soppressa, si dovrebbe dare più importanza all’individualità di un’artista?

Non solo in America, anche in molti paesi nord europei. Lo Stato si interessa ai giovani artisti: ci sono molti concorsi, borse di studio ecc. promossi dallo stato. Ho conosciuto giovani artisti inglesi che prendono uno stipendio, o che hanno pubblicato un catalogo con i soldi statali. Il problema è: è giusto che un’artista giovane viva già del suo lavoro a vent’anni? Non ha bisogno di farsi le ossa sul campo? Non che l’arte abbia bisogno di malessere, ma sicuramente non ha bisogno di gente che a vent’anni si crede arrivata.

Marco Pace - la città è salita -olio su tela 100x100 - 1998

Passiamo ad un tuo progetto che mi interessa particolarmente “La Città è Salita”. Penso a Boccioni e alla “La città che sale”, la sua Milano è una proto metropoli, depositaria delle emozioni dell’uomo moderno, perso nella dinamicità del caos metropolitano.

Addirittura mi viene da pensare all’opera “Stati d’animo” e ai cavalletti che Boccioni metteva nella stazione di Milano dipingendo le persone che vanno e vengono, come se la location metropolitana fosse una sorta di palcoscenico esistenziale. Nella tua opera, “La Città è salita”, parti dai presupposti di Boccioni ma tutto si sviluppa in chiave apocalittica. Parlaci di questo prodigioso progetto.

Quando studiai i quadri di Boccioni ne rimasi molto impressionato. “ La Città che sale” è come un tatuaggio che porto dentro. I colori, la tecnica, e il significato di quel dipinto mi portarono almeno a 5 anni di lavoro sulla mia pittura. Quel dipinto fondamentalmente m’inquietava e di solito mi portava a pensare: se “La città che sale” rappresenta, così di primo impatto, la voglia che ha la città stessa di crescere e di svilupparsi in maniera colossale, ed è stato dipinto agli inizi del ‘900, ormai, nel 2000 la Città è Salita… così immaginai un enorme Dio artificiale che si auto creava, non aveva più bisogno dell’uomo per costruirsi ma aveva una vita propria e iniziava a conquistare tutti gli spazi naturali. Così dipinsi quel quadro, e un’altra cinquantina di quadri sullo stesso tema. Tutta quella serie la dipinsi senza il supporto di foto quindi senza alcun riferimento ad immagini reali. Oggi tutti i miei quadri hanno bisogno di foto infatti la prima parte del mio lavoro, oggi, è la fotografia. Per poter dipingere la realtà ho fatto molti quadri en plein air dopo il 2000.

Ultima domanda, quale artista richiameresti in vita?

Richiamerei in vita, naturalmente con un rito voodoo, gli artisti morti giovani che più apprezzo cioè, per citarne due, Keith Haring e Andrea Pazienza.

Intervista a cura di Daniela Nativio.

Marco Pace - la città è salita 2 - olio su tela 130 x 80 - 2002

Marco Pace - monkey suicide II - 65x80 drawing -2010