Ci aveva messo l’anima, il corpo e la passione per trovarsi lì, in quel momento. Lasciare quello che si conosce per andare verso il cambiamento è necessario. Di solito non se ne ha il coraggio per paura di giungere a conclusioni affrettate. Margherita però non aveva paura. Quando scese dal suo treno non sapeva bene che strada prendere. La confusione che regna delle stazioni ferroviarie è assimilabile a quel caos interiore che abbiamo quando un’emozione ci sconvolge. Fidanzati che faticavano a lasciarsi le mani, bambini che correvano in contro a padri che non vedevano da tempo madri che aiutavano i ragazzi in partenza per le città universitarie a caricare le valigie sul vagone. Infine c’era lei, con il suo borsone nero. Seppur stanca e provata dal lungo viaggio, rimaneva genuina nel suo volto. La pelle chiara e con qualche imperfezione descriveva perfettamente la sua giovane età. Non era eccessivamente magra ma sua madre, una donna critica e ferma, la descriveva come “ un manico di scopa”. Le guance rosee tradivano i suoi cambiamenti di umore e le mani composta da lunghe ed sottili dita definivano ancora di più quella figura caricaturale. Sapeva bene che non poteva fare di meglio e che pur indossando abiti non troppo aderenti avrebbe comunque dato nell’occhio. Infatti si accorse che un uomo la stava fissando. Con lo sguardo percorreva quell’autostrada di fisico che si ritrovava ad avere, libero da ogni collina. Si sentì in forte imbarazzo ma non abbassò lo sguardo neanche quando l’uomo prese l’iniziativa e si avvicinò. Non era molto bello, non era troppo alto ma era affascinante. Morbosamente attraente. Avanzava lentamente e si fermò a una distanza di 5 passi dalla giovane ragazza, poi schiarendosi la voce iniziò a dire qualcosa.
“Sei molto carina, mi piace quel cappotto”
“Non sei originale, per niente. Piuttosto, dov’è l’uscita dal binario?”
L’uomo accennò una risata e indicò un cartello enorme con la scritta “ USCITA” proprio di fronte a lei. Margherita si sentì una stupida e cercò disperatamente di non darlo a vedere ma si tradì storcendo la bocca.
“Se vuoi, ti accompagno. Ho la macchina qui fuori”
“Come preferisci”
In effetti pioveva e non era una buona idea prendere i mezzi pubblici per arrivare al suo albergo, per cui optò per il fidarsi dello sconosciuto.
“Mi chiamo Michele, sono uno scrittore”
“Mi chiamo Margherita, sono una scrittrice”
Si guardarono un attimo fisso e si sentirono scomodi.
“ In realtà non è che sono proprio uno scrittore vero. Scrivo per passione ma lavoro in un ufficio. Passo tutto il giorno ad ascoltare i problemi dei miei colleghi e a compilare scartoffie che non mi interessano. Tu come mai ti trovi a Roma?”
“Io? Io sono partita con un sogno. Nel mio borsone ho un manoscritto e domani mattina ho un appuntamento con una Casa Editrice.”
“Interessante. Quindi sei solo di passaggio?”
“No, se va bene rimango”.
Rimanere lì, quanto lo avrebbe voluto. Per scrivere quell’abbozzo ci aveva messo due anni di duro sacrificio, tra un esame di Economia e l’altro. Chi studia quel genere di materie può capire quanto sia facile rischiare di farsi influenzare e perdere la bussola della propria creatività. Ti insegnano a ragionare per ipotesi, schemi, modelli astratti, grafici e quant’altro, tutte cose che a lungo andare intorpidiscono la mente e ti rendono schiavo di quel tipo di mentalità chiusa e prevedibile. Per la laurea c’era tempo ma non le importava troppo, voleva continuare ad assecondare la sua naturale inclinazione alla scrittura in modo ostinato. Nessuno della sua famiglia era a conoscenza di questo manoscritto, i suoi amici ignoravano la sua passione, lei stessa non si sarebbe mai sognata di mettere in piazza quel suo progetto. Non tanto per la paura di un giudizio negativo, quanto più per non rovinarsi quel momento.Sua madre le avrebbe detto di pensare a studiare perché scrivere romanzi non porta pane a casa e una laurea in Economia, quella sì che le avrebbe garantito un futuro. Un giorno aveva provato a parlarle di una vaga idea che aveva, quella di scrivere un romanzo fatto di cinque racconti diversi ma con un filo invisibile che li legava tra loro. Lei ne aveva riso e voltandosi verso la finestra aveva esclamato “ Dai su, pensa alle cose serie”.Nonostante questo Margherita non si era persa d’animo e aveva continuato per la sua strada, alternando forti momenti di ispirazione ad altrettanti di demotivazione. Le capitava magari un’idea geniale mentre era in aula di lezione mentre tutto ascoltava tranne le parole del professore. Allora prendeva il suo taccuino e vi annotava qualcosa, senza farsi vedere dai compagni di corso. A volte non faceva in tempo a tornare a casa che un pensiero l’assaliva a un semaforo rosso in procinto di scattare sul verde. Pensava a sua madre, forse lei non aveva mai avuto un sogno.Arrivarono all’albergo dopo neanche trenta minuti di discorsi banali e già sentiti. Lui le lasciò il suo numero e le augurò una buona fortuna, lei scettica sorrise e lo ringraziò. Salì nella sua camera e senza neanche mangiare un boccone, indossò il pigiama di flanella e si addormentò nello scomodo lettino.Il mattino seguente la sveglia suonò alle 7. Margherita balzò dal letto e si diresse verso il bagno. Preparò l’occorrente per una doccia veloce e dopo essersi spogliata, entrò nella cabina. Ci rimase per poco più di venti minuti e mentre l’acqua calda le scorreva sulla testa, passando sul viso e sulle labbra, mentalmente già percorreva la strada che avrebbe dovuto fare.Scese a colazione, pagò il conto della camera e con il suo borsone nero in spalla si diresse verso la fermata dell’autobus. L’orologio segnava le 8. Aveva l’appuntamento con quell’editore per le 10 e mezza, pensò che avrebbe fatto in tempo. Scese dal bus alle quinta fermata e imboccò una viuzza laterale. Trovò subito il portone del palazzo perché su di esso, alla sinistra, era affisso un cartello con la scritta non troppo evidente ma facilmente riconoscibile del nome della Casa Editrice che aveva in mano il suo Sogno. Suonò al citofono e rispose una donna dal tono acido invitandola a salire. Doveva arrivare fino al sesto piano ma non prese l’ascensore, salire le scale a piedi l’avrebbe aiutata a smaltire l’adrenalina dell’attesa. La segretaria dalla voce acida e con un neo su una guancia la invitò ad accomodarsi nel salottino allestito come sala d’attesa. A giudicare dalla non presenza di alcuno, Margherita pensò di essere fortunata. Sul tavolino di vetro a fianco prese una rivista, risalente all’anno 2003. In uno di questi articoli si parlava della fatica delle donne ad accontentarsi di un uomo “nella media”, desiderando per se stesse non si capisce cosa. Era più che evidente che a scrivere quell’articolo doveva essere stato un uomo deluso o frustrato.
-Che assurdità- si disse.
La segretaria dalla voce acida, il neo su una guancia e la camminata sbilenca finalmente l’annunciò. Margherita poggiò al volo la rivista, prese il manoscritto dal borsone e sistemandosi per l’ultima volta i capelli, si diresse verso l’ufficio.La donna che l’attendeva somigliava a un personaggio dei fumetti. Era piccola, occhialuta, con un rossetto violentemente rosso, delle mani decisamente volgari e fuori dall’ordinario. Quando Margherita entrò neanche alzò lo sguardo ma fece un gesto che avrebbe dovuto significare “Avanti” con la mano destra, tenendo stretta nell’altra un foglio.
“Così lei sarebbe la giovane che mesi fa ci ha inviato IL manoscritto” . Sottolineò quel “IL” con un tono isterico.
“Salve. Sì, mi ha chiamato la sua segretaria per darmi appuntamento e…”
“Sì, sì, andiamo al dunque” la interruppe. Margherita attendeva con ansia le parole di quella strana signora e si domandava se a giudicare dal suo atteggiamento frettoloso, non avesse avuto la stessa ansia nel leggere il suo libro.
Rimase seduta in silenzio ad aspettare per almeno trenta secondi, così la signora stramba iniziò a dire di quanto fossero arroganti i giovani di oggi nel credere che basti scrivere un “manoscrittino” ( lo definì proprio così ) per ritenersi degli scrittori. Ai tempi suoi – diceva – quanta gavetta dovevano fare prima che qualcuno prendesse in considerazione anche solo un racconto, scritto e sudato chissà dopo quanto tempo. Invece i giovani d’oggi – e doveva avercela pesante con lei e con le generazioni attuali perché coglieva una punta di astio ogni qualvolta che quell’espressione si posava sulla sua lingua – arrivano da lei con storie trite e ritrite, senza originalità, senza un corpo, un cuore né un’anima. Solo per vanità e riconoscimento personale. Andò avanti così passando da insulti velati e generici a smontare pezzo per pezzo quel manoscritto, leggendo ogni tanto degli estratti per renderli ridicoli.Mentre la donna stramba ragionava – si fa per dire- in questi termini, Margherita sembrava quasi aver perso il respiro. Continuava a guardarla negli occhi e le guance diventarono rosse ma sperò che non si notasse. La strega si interruppe nell’attesa forse di sentirsi dire un qualsiasi “Ma” dalla ragazza. Invece lei rimase compatta, si alzò composta dalla sedia e disse soltanto, tradita per un attimo nella voce da un tremolio “La ringrazio del suo tempo” e si voltò con dignità e contegno.
“Non ha nient’altro da aggiungere?” provocò la stramba signora un po’ strega.
“No. Potevo aspettarmelo. Può capitare”
“Hai stoffa “disse. “ Un’altra al posto tuo sarebbe scappata piangendo, almeno per orgoglio ferito. In questo mestiere non sempre arrivano applausi e contratti, a volte piovono massi. Volevo vedere la tua reazione, ti ho chiamata fin qui per questo. Non mi piace il tuo manoscritto, trovo sia troppo immaturo, disomogeneo e mancante di uno stile che lo contraddistingua. Roba già letta. Apprezzo la trama, però. Questo tema del sogno preponderante in tutti e i cinque i racconti, che si intrecciano tra loro come una maglia fitta quasi a voler incastrare il lettore. Torna domani, possiamo lavorarci su. Ora via, sparisci “.Detto questo, la segretaria dalla voce acida, il neo sulla guancia, la camminata sbilenca e la camicia celeste entrò nella stanza indicando a Margherita di seguirla.Uscita dal palazzo riprese a respirare. Non era andata come immaginava ma tutto sommato non poteva che essere fiera di sé. Si ricordò di Michele, il ragazzo che la sera prima l’aveva accompagnata all’albergo dalla stazione. Le venne in mente di chiamarlo. Michele non rispose. Chissà, ora che sapeva che probabilmente sarebbe rimasta a Roma almeno per quella settimana avrebbe potuto richiamarlo.Con il sorriso stampato sulle labbra, si allontanò dal quella via e si diresse verso la fermata dell’autobus. Il giorno, dalle premesse, si prospettava buono.
Michele quel giorno si svegliò di malumore. Non sapeva neanche lui il perché ma percepiva nell’aria qualcosa di strano. In canotta e boxer si diresse nella sua cucina e si preparò il caffè. Il cellulare era rimasto spento dalla sera prima, quando aveva accompagnato Margherita in albergo. Pensò che forse era il caso di accenderlo. Dopo pochi secondi, arrivò il messaggio della ragazza.“Ciao, ho provato a chiamarti ma il telefono risultava spento. Oggi sono stata dalla direttrice della Casa Editrice. Se vuoi, richiamami”. Michele sorseggiando il caffè pensò a quel bel paio di occhi di Margherita e decise di richiamarla.Non era un ragazzo che parlava molto. Dopo la fine della sua convivenza con Marianna, aveva lasciato perdere le donne. “Donne: ”- diceva- “esseri complicati senza un perché”. I suoi amici al bar raramente erano così sobri da cogliere una citazione così intelligente e continuavano a parlare di quanto fossero belle le ragazze che passavano davanti al locale.Michele era stato insieme a Marianna per 14 anni e non si ricordava più cosa significasse essere individuo singolo. Viveva la sua condizione di quasi-sposato come se fosse stata l’unica possibile. Non aveva hobby, interessi, non praticava sport. Niente di niente.Quando lei se ne andò con un ragazzo conosciuto per caso, gli rimase solo il miniappartamento dove vivevano. Tanto gli bastava. Voleva imparare a vivere solo. Mangiare da solo. Dormire da solo. Cambiare di nuovo la sua vita, quando credeva di essere a buon punto. Cambiare direzione, sentirsi di nuovo libero. Invece quella ragazza del giorno prima l’aveva turbato e lui era andato a letto con un mal di testa improponibile.Non aveva il coraggio di farsi domande. Afferrò solo il telefono e chiamò Margherita.Lei dalla voce sembrava entusiasta di sentirlo. Trovandosi sola in una città che non conosceva, avere un amico l’avrebbe aiutata.Invece Michele dall’altra parte del telefono sembrava di ghiaccio. Non voleva amici. Non voleva donne. Non era pronto.