Domenica di febbraio
domenica, 21 Febbraio 2010 by Luca Di FrancescantonioRimango impigliato in un pomeriggio di sole, mentre scuoto via il freddo, mentre Riccardo è in cerca di cicorie per le sue tartarughe. Il suo piccolo Enrico cammina a passo spedito per la stradina di campagna. Io ho le mani in tasca e mi fermo e mi guardo attorno. Pomeriggio caldo su verde campagna, colline all’orizzonte e silenzio tra gli ulivi.
Ho un minuto per me? Credo di sì. Hai inventato ogni scusa dall’inizio di quest’anno per non avere minuti per te, penso che forse adesso in una domenica così potresti concederti il lusso, Lu. Cosa non va? A casa tutti bene? E i tuoi? No, non mi va, non queste domande. Non di nuovo.
Avverto il vento leggero accarezzare le creste degli alberi da lontano, mentre il fruscio delle cicorie tagliate ti solletica l’ozio cullante del non pensare, ciondolante dal colle più alto dei tuoi pensieri nell’assoluto letto delle creatività. Gli ulivi penetrano con le radici fino a scrollare il terreno morbido e fangoso plasmato da antichi fiumi sottostanti. Mi chiedo fin dove tutto questo mio fare e cercare mi possa portare, tenendo conto di queste mie radici. Mi chiedo anche se questa dolce solitudine fino a quando mi farà compagnia nella sua confortante sincerità, come una accorta compagna che sa cosa dirmi quando è il caso di dirlo, ma puntualmente non lo fa. C’è un rapporto particolare tra quelle che sono le attitudini del mio lavoro e del mio modo di intendere l’arte e questa compagna di ventura che nella mia mente mi ricorda chi sono. C’è uno strano patto tra me e la solitudine: “Non dirmi, non ti dico”. Io creo, ma non voglio sapere per chi creo.
Puoi sentire il tempo che si ferma quando i piedi sono fermi sull’asfalto di una collina nascosta. Le case in lontananza sono sempre più basse e perse e confuse. Il cielo di pomeriggio è più materno. Dio mi vedi ora? Sorrido. Tu sai cosa ho. E non farmi voltare indietro, sai anche il resto. E, nonostante tutto, ti ringrazio. Perché vuoi o non vuoi sono dannatamente fortunato. Non vivo in un paese in guerra, non oggi. Anche se gli Italioti fanno previsioni peggiori quando dormono all’estero. O quando ripiegano sbuffando un giornale. Anche se non è facile lavorare e trovare sicurezza e nemmeno i nostri genitori avevano i nostri stessi problemi, ma… mi sento fortunato. Quest’anno voglio solo questa fortuna. Sono stato troppo romantico, mi prendo tutto quello che questo significa, il mio cuore non finisce mai di imparare, non è così? So che lo sarò ancora, nella mia maniera, so che regno potrei dare come re ad una regina, ma non basta mai pare. Ma quest’anno voglio solo vivere della mia fortuna. Lo prometto.
E’ quello che farò.
Enrico corre a passi veloci, ma brevi, visto la sua statura. Non parla ancora, ma usa il dito indice alzato verso l’obiettivo di turno per esprimere concetti profondi in soli due mugugni. Ha gli occhi del padre, noto. Padre che nel frattempo smazza cicorie sfrontatamente su un terreno privato, incurante dell’anarchia dell’ego nei confronti di eventuali proprietari.
Riporto il giovane Enri dal papà rivoluzionario.
Il futuro veste un cappottino e delle micro scarpe da tennis. E non ti tiene per mano.
Ma percorriamo stranamente insieme la stessa strada, ognuno serenamente ignaro di quello che ci sarà dietro la collina più verde.
Buon anno.
Luca (since 1976 – soft version)
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